Come isole in un arcipelago

Pioveva da giorni a Nuuk. Il clima rispondeva alle mie aspettative, per carità, la pioggia era fine e il vento costante, ma nel periodo suppostamente più caldo dell'anno mi sarei aspettata di vedere più spesso il sole. O almeno, di poter camminare senza strati di Goretex addosso, per muovermi comodamente in una cittadina che senza dubbio aveva più di Danese che di Inuit.
Il palazzone di vetro che ospita il centro commerciale si staglia tra la parte vecchia della città (ovvero la cattedrale, un
laghetto e qualche casa coloniale) e la zona più recente, costituita da edifici moderni che poco hanno a che vedere con le casette colorate tipiche dei villaggi groenlandesi e di alcune zone residenziali della città.
Riuscire a trovare un'auto a noleggio sembrava potesse essere la svolta: per quanto vecchia, scassata e poco assicurata, ci avrebbe permesso di spostarci più facilmente da un punto all'altro della piccola capitale, estesa su un promontorio all'interno di un complesso sistema di fiordi, percorribili in estate con varie imbarcazioni (tempo permettendo) e, nei freddi e ghiacciati inverni, con slitte trainate dai cani o motoslitte.
Ci bastarono pochi km per avere la conferma che a Nuuk, di un'auto, ce ne saremmo fatti ben poco. Certo risparmiavamo i soldi di un taxi o le attese del bus ma, a conti fatti, le strade e le distanze percorribili erano solo ed esclusivamente quelle poche asfaltate o sterrate che, ad un certo punto, finivano. Magari ci portavano ad uno spiazzo panoramico in riva al mare, al porto commerciale, al palazzetto dello sport o al parcheggio di una zona industriale. Una, addirittura, ci portò al cimitero, in senso letterale. Certo alcune ci permettevano di fare dei giri ad anello, in entrambe le direzioni... Ma tutte, nel giro di poco, finivano.
Essere a Nuuk, fondamentalmente, era come essere su un'isola: la vera svolta, sarebbe stata la barca.
Per quella, però, avremmo dovuto aspettare. Finché pioveva, il mare era mosso... troppo mosso per un bimbo di un anno e mezzo che, ormai, si era adattato ad una routine fatta di una piccola casetta rossa in riva al fiordo e di brevi trasferte per la città, in macchina, a piedi, o su di un passeggino quasi sempre coperto dal para pioggia.
Nelle giornate più uggiose frequentavamo il centro commerciale, principalmente per il supermercato e per la caffetteria “Pascucci”, punto di ritrovo dei giovani della città. A volte ci spingevamo all'ultimo piano, dove c'era una piccola area bambini, sempre poco movimentata, a fianco di un centro estetico. Un pomeriggio mi cadde l'occhio sul cartello ben visibile al suo ingresso che proponeva, ad un ottimo prezzo, massaggi “Total Body”.
Decisi di non perdere l'occasione: la mia schiena, sollecitata dall'arrampicata, dal sollevamento bimbo e dall'umidità di quei giorni, ne avrebbe sicuramente giovato.
A darmi l'appuntamento era stato un uomo, il parrucchiere del centro, dalla corporatura un po' troppo minuta per essere Inuit e dall'incarnato un po' troppo scuro per essere di origini europee. A farmi il massaggio, invece, una donna, anche lei chiaramente straniera e non solo per l'aspetto ma anche, soprattutto, per la marcata propensione alla conversazione, cosa che poco si addiceva ai groenlandesi.
Dai capelli lunghi e mossi, sulla cinquantina, magrolina ma nerboruta, la massaggiatrice dalle mani esperte mi fece subito sentire a mio agio. Le faceva piacere chiacchierare, mentre con forza cercava di sciogliermi le contratture. Mi disse di essere di origini filippine, si era lasciata convincere ad intraprendere questo lungo viaggio da alcuni amici già immigrati in precedenza che, avendo un centro estetico in città, le avevano offerto lavoro.
Per ottenere i documenti necessari ad un espatrio simile le ci erano voluti sei mesi; sei mesi di trasferte dal suo villaggio a Manila, per lei già costose ed impegnative. Da lì, salutate le sue due figlie ormai grandi ed indipendenti, aveva iniziato il lungo viaggio verso la Danimarca, dove aveva dovuto richiedere altri permessi e dove era stata tentata di fermarsi, già decisamente provata dalla trasferta.
Capì subito che, se ambientarsi a Copenhagen sarebbe stato difficile, adattarsi a Nuuk e alla Groenlandia sarebbe stato decisamente arduo. Inverni lunghissimi, gelidi, terribilmente bui... Ed estati brevi, piovose, che raramente le permettevano di andare in giro in maglietta. Non sudava neanche più! Il sole dei tropici? Un vago ricordo.
E dire che lei era arrivata con un bagaglio leggero, dalle Filippine... Chi li aveva mai visti lì, giacconi e piumini?
Per di più era dicembre quando aveva messo piede in città la prima volta, quel dicembre che precedeva una pandemia che avrebbe portato a chiudere frontiere e confini ben più facilmente valicabili dei mari che circondavano un'isola... O anche, semplicemente, dei ghiacci che circondavano Nuuk.
Rientrare, comunque, non era ancora un'opzione. Ormai si era adattata ed attrezzata, riusciva anche a mandare a casa
un po' di soldi... Economicamente, tornare avrebbe significato metterli da parte per il viaggio rinunciando allo scopo per cui si era trasferita lì. I suoi sacrifici, invece, qualcosa le stavano fruttando.
La sistemazione più modesta che aveva trovato era un posto letto in una piccola stanza, praticamente priva di armadi e condivisa con un'altra ragazza, in un mini appartamento in cui vivevano anche altre persone, perlopiù groenlandesi, con una cucina gestita a turni in cui in due si stava stretti... E a cifre paragonabili a quelle del centro di Milano.

A conti fatti, però, a fine mese qualcosa riusciva ad avanzare.
Scoprii poi che la comunità filippina di Nuuk, insieme a quella thailandese, costituiva il più grande gruppo di immigrati asiatici nel paese. Aveva il suo mercato, il suo negozio dell'usato, alcuni stanziamenti per il quale il governo locale si era prodigato a fornire acqua potabile... Ed ecco che mi spiegai anche la maggior presenza, in città, di ristoranti orientali rispetto a quelli locali. Non era solo per la maggior popolarità dei noodles rispetto al filetto di balena o di halibut! Inaspettatamente, appresi anche che tutta la zona dell'artico, Islanda ed Isola di Baffin comprese, era stata colpita da una forte ondata di immigrazione da Manila. Se ad Iqaluit, in Canada, si teneva annualmente una festa filippina invernale, con tanto di lechon (maiale arrosto) che arrivava in aereo da Ottawa, Reykjavick, più internazionale e cosmopolita, aveva già avviato una sorprendente quantità di cooperazione tra i due paesi, aiutando ad esempio le Filippine ad incrementare l'uso di energia geotermica.
In Groenlandia, la massaggiatrice aveva pian piano ritrovato un pochino del suo mondo, quel tanto che le bastava per
superare i momenti di maggior crisi e non sentirsi isolata. Però lei viveva con alcuni groenlandesi, il suo datore di lavoro era thailandese... Il condividere, lo “stare insieme” (kapwa), l'integrarsi con la comunità circostante, rimaneva anche qui uno dei valori principali dei filippini che, a ben guardare, con gli Inuit condividevano anche alcuni tratti somatici.
Qualche giorno dopo il massaggio uscì finalmente il sole: non era quello dei Tropici, ma per un attimo sfoderai
addirittura la maglietta a maniche corte.
Ci concedemmo allora un giro in barca. Nessun Inuit noleggerebbe il suo vitale mezzo di trasporto ad un estraneo, sarebbe un po' come dare le chiavi di casa propria a qualcuno che non si conosce... Però si, si offrono volentieri di accompagnare gli stranieri, a prezzi non troppo concorrenziali.
L'idea era di raggiungere uno dei villaggi sulla costa della Baffin Bay più vicini alla città: Atammik. Un paesino collegato al resto della Groenlandia da uno stretto lembo di terra, entro 7 km dal quale non abitava nessuno. Oltre quella soglia invece, sempre ad una certa distanza, altri minuscoli centri abitati, più facilmente raggiungibili via mare: come piccole isole in un arcipelago.
Dopo due ore di navigazione in una luce incredibile, sopra un mare particolarmente calmo, la prima cosa che notai approdando al porto di Atammik fu il numero di barche attraccate, un quantitativo notevole per soli 190 abitanti! E nessun altro mezzo di trasporto per le viette sterrate del villaggio, a parte tricicli, piccole moto e biciclettine.
Bimbi di tutte le età giocavano e correvano tra casette colorate con lunghe fila di panni stesi al vento. La scuola era
facilmente identificabile da una grossa scritta, il piccolo supermercato, invece, si mimetizzava con il resto. Il villaggio si sviluppava per una lunghezza di circa un km, tra il parco giochi, con un campetto da calcio, ed un'area attrezzata per il fitness all'aperto.
Alcuni pescatori già rientrati dalla loro uscita, pulivano il pesce davanti alle loro case. Qualcosa avrebbero venduto fresco
ai vicini, altro avrebbero invece messo da parte in apposite celle refrigeranti in attesa che le imbarcazioni delle aziende di lavorazione e distribuzione del pesce passassero a ritirarlo.
La pesca, per la maggior parte di queste persone, rimaneva il mezzo di sussistenza.
Comprammo da un uomo anziano un pezzo di pesce gatto, con l'idea tutta italiana di farlo diventare un ottimo sugo per la pasta; convinsi Lio a scendere da una piccola bicicletta trovata in mezzo alla strada, presa in prestito senza troppo chiedere a qualche bimbo comprensivo, e risalimmo sulla nostra barca.
Dalla prua di una piccola imbarcazione esposta al vento e agli schizzi d'acqua, mi resi conto che arrivare a Nuuk da Atammik era come raggiungere l'isola principale da un piccolo atollo in un arcipelago. Il capoluogo, con tutti i servizi di una città, gli uffici amministrativi di impronta danese e le influenze culturali di provenienza asiatica, era connesso da costosi voli aerei e lunghi viaggi in traghetto a tutta la Groenlandia, della quale era rappresentante, ma anche, nonostante le difficoltà climatiche ed ambientali, tramite mezzi privati come motoscafi o motoslitte, alle tante piccole isole nei suoi dintorni.
Nuuk era il riferimento per la costa sud-occidentale del Paese, ma altre cittadine o villaggi più popolati avevano il suo stesso ruolo in altre zone costiere della Groenlandia: come in un grande arcipelago, ma attorno alla calotta polare dell'Artico.