L'ennesimo asado

- “Domenica organizzo io un asado !”
Mi disse entusiasta Giorgio, rientrando a El Chalten dopo la salita della Guillaumet. Aveva fatto la sua prima cumbre patagonica e, per di più, salendo una via bella tosta.
Anch’io ero soddisfatta per essere riuscita, nello stesso weekend, a combinare: salita al campo base di Piedras Negras con il bimbo - scalata della via classica della Guillaumet con Matteo - rientro con gambe a pezzi ma ancora funzionanti. Tutto questo però, a mio avviso, non valeva l’ennesimo sacrificio di un povero agnellino.
- “Dai! Offro io!”
- “Non è quello Giorgio… Lo sai… Lo abbiamo già mangiato poco tempo fa, per la storia del recupero di Tomàs sulla Nord del Cerro Torre… e ci stava, lì nella taverna di Don Guerra, in una serata di pioggia, con tutti quelli del soccorso… Insomma, aveva il suo valore in quel contesto…”
- “Ma dai, tu non mangiarlo se non vuoi! Facciamo anche l’insalata e altre verdure… In più dico a Joaquin di cucinarlo
per le 8, orario italiano! Così va bene anche per i bambini”.


Certo per Giorgio, sardo di origine e di provenienza, il cordero non era altro che un porceddu lanoso e belante, pensai, un'abitudine tanto radicata nelle sue tradizioni quanto facile da digerire.
Ad ogni modo, non potevo esimermi. Alle 8 meno dieci di quella domenica sera mi presentai con 1 kg di gelato artigianale nella sala-cucina del nostro ostello, dove alla hoguera c’era Joaquin, il proprietario, intento ad ultimare la cottura di uno splendido asado.
Matteo e Lio erano lì da un po’ e gli altri, incredibilmente, erano già quasi tutti presenti.
Mi avvicinai a Joaquin, sapendo che il cucciolo che stava amorevolmente arrostendo proveniva dalla sua Estancia.
“Era anche l’ultimo disponibile!”, mi aveva fatto notare Giorgio, a sottolineare quanto l’occasione fosse imperdibile... E così, presa dalla curiosità di scoprirne di più della sua doppia vita (allevatore in inverno, albergatore d’estate..) e, soprattutto, nella speranza di sentirmi dire che la morte dell’agnellino era stata accidentale, cominciai ad indagare. L’Estancia del 24enne Joaquin, un ragazzo un po’ robusto, dallo sguardo dolce e dai modi gentili, e della sua famiglia, era proprio lì vicino a El Chalten, a suo dire. Dal gesto che fece con le mani pensai fosse “dall’altra parte del fiume”, e che magari ci tornasse a dormire la sera… Ma mise subito in chiaro che per “vicino” intendeva comunque a 2h e mezza di auto, conoscendo gli standard europei. “Ah già! I parametri argentini sono un po' diversi...”, gli dissi sorridendo. Essendo lui spesso impegnato in ostello, altre due persone erano fisse nella sua fattoria, per controllare soprattutto che i numerosi animali non si allontanassero troppo... Impresa titanica date le enormi distese, a volte neanche recintate, che hanno a disposizione.
L'agnello in questione però era stato abbattuto da lui, come di consueto... nei periodi in cui è necessario, ne macella
anche 25/30 in una mattinata! Prima vengono addormentati (storditi) in modo che non si rendano conto di niente... e poi gli da il colpo decisivo. Gli costa, ma ormai è abitudine. E' così che funziona, da sempre. Facendo in modo che le altre pecore non vedano e che gli agnelli non realizzino quello che sta per succedere... Per ridurre la sofferenza al minimo. L'informazione apprezzabile fu che, in tutto ciò, raramente sono le femmine ad andare al macello così piccoline (severi, ma giusti!). Tendenzialmente sono i maschi ad essere sottoposti a più rigidi criteri di selezione, quasi prettamente estetici... Solo i pochi che hanno bocca, occhi, zampe sane ed in perfette condizioni ma, soprattutto, il manto senza neanche una macchiolina, vengono allevati e cresciuti per procreare... E, dato che gli viene posto un segno sull'orecchio, vengono identificati come i señalados... Tutti gli altri, definiti ordinarios, sono destinati alla parrilla.
Guardai il mio bimbo, che stavo tenendo in braccio, e mi girai verso Matteo che, avendoci ascoltati, mi disse:
- “Allora Lio è... Lio è...”
- “Ordinario!” Replicai io, che avevo appreso la lezione.
Con ironia, mostrammo a Joaquin il neo ben evidente che Lio aveva sul polpaccio destro.
Lui, ghignando, colse l'analogia con quello che per un agnellino sarebbe stato un difetto fatale. A quel punto, una domanda sorse spontanea...
- “Ma le mamme pecora, scusa? Non si accorgono che da un momento all'altro non c'è più il loro piccolo?” (Peraltro, una delle ragioni principali della mia reticenza a mangiare l'agnello... come qualsiasi altro cucciolo)
- “Tante volte sono loro stesse ad allontanarli verso la fine dello svezzamento... non sembra ne soffrano, non sembra ne sentano la mancanza in quella fase. Però gli orfanelli no, quelli che rimangono senza mamma non ci è permesso ucciderli e mangiarli...”
Come a dire che avevano già sofferto abbastanza, poverini, era giusto dare loro una possibilità di riscatto, lasciandoli

crescere liberi e felici nella pampa argentina.
Ricordo che lo stesso discorso me lo aveva già fatto tempo prima, quando avevo visto nel giardino dell'ostello un agnellino davvero piccolo, belante, legato ad una corda... La scena era stata talmente straziante che avevo piantato un'occhiataccia piena di tristezza al povero Joaquin, il quale si era sentito in dovere di darmi delle spiegazioni. Ma in quell'occasione non mi convinse fino in fondo del fatto che quel cucciolo, perché orfano, sarebbe sopravvissuto.
Di saper cucinare bene l'asado, però, di quello certo mi convinse. Come anche che l'operazione, dalla gestione delle braci alla rosolatura della pelle, non fosse affatto semplice, senza contare che ci vollero almeno 5 ore di costanti attenzioni per portarla a termine.
Inutile dire che lo assaggiai e lo apprezzai. “Mai e poi mai ordinerò un asado al ristorante, una sera qualunque”, dissi tra
me e me. Non è un piatto qualsiasi, da mangiare con leggerezza, in alternativa alla pizza, al risotto o ad una frittata...
Ma quella sera era l'occasione, per Giorgio, di festeggiare in stile locale la realizzazione di un piccolo sogno, la salita di una via in Patagonia, di riunire un gruppo di amici argentini e stranieri con i quali aveva condiviso questa esperienza di due mesi, Joaquin compreso... e di salutarci e ringraziarci tutti, una volta arrivato il momento di pensare al rientro.

Mi chiesi se, e in quale misura, una tradizione come quella del sacrificio di un cucciolo per un'occasione di festa, potesse essere messa in discussione. Uno dei parametri di valutazione più appropriati ritenni fosse la modalità di allevamento e rispetto che viene riposto nell'animale e nella sua specie da coloro che ne eleggono il sacrificio.
Non potevo di certo prendermela con gli argentini, che vantano le migliori modalità di allevamento di bestiame al mondo, date le enormi distese che hanno a disposizione proprio nella pampa (si parla di più di un ettaro a bovino!), e data l'etica della relazione uomo animale che vi instaurano (di cui Joaquin e i suoi gauchos ne sono un esempio), se sporadicamente ricorrono a questa tradizione secolare che risponde ancora ad un vero e proprio rituale...
Valeva invece la pena prendersela con tutta quella produzione malsana e immorale di carne animale e dei suoi derivati che troviamo nel mondo (nella stessa argentina per quanto riguarda polli e maiali, tra l'altro) sotto forma di allevamenti intensivi... e vale la pena prendersela con me stessa, nei momenti in cui cedo a carne, uova e prodotti caseari senza approfondirne la provenienza e la modalità di produzione, andando quindi ad incentivare un sistema dannoso, malato e soprattutto privo di rispetto per altri esseri viventi.
Recita il mio proverbio: meglio un asado all'anno, di agnello argentino, oggi, che una frittata di uova da allevamento in
gabbia, domani (e per il resto del tempo).