Ricerche di mercato

Un edificio bianco apparentemente recente, un enorme parcheggio deserto come i dintorni della cittadina di Ibri, non lontana dal confine con l'Arabia Saudita, e un odore acre, fortissimo, ancora più nauseante nel caldo sole del mezzogiorno.
Dovevo essere arrivata. In giro c'erano solo uomini, pochi. Faceva eccezione una donna, a viso semi-coperto, che stava comprando carote e arance senza neanche scendere dalla sua auto, facendo fare avanti e indietro all'anziano verduriere, il cui banchetto (come gli altri accanto a lui) era costituito da una coperta per terra con sopra un po' di frutta e verdura, presumibilmente di produzione propria. Gliel'avrei anche comprata tutta, se avessi saputo cosa farmene.
Quest'area mercatale comprendeva altre due parti, quella del bestiame, all'aperto e ormai completamente spoglia, la riconobbi per le balle di fieno e per le tracce degli animali che probabilmente erano stati venduti e scambiati nel corso della mattinata, e quella del pesce, da dove proveniva il pessimo odore al quale mi stavo abituando.
Varcai la soglia dell'edificio che portava chiaramente scritto, in arabo ma anche in inglese, “Fish Market”. Cercando di
schivare le pozze di sangue che fuoriusciva dalle apposite canaline di scolo, mi accorsi che in quel momento, oltre ad essere l'unica donna (oltretutto anche palesemente straniera), ero anche l'unica potenziale cliente.
Sentendomi osservata cercai di non scompormi, ma sorrisi e manifestai il mio interesse verso i vari pesci che orgogliosi i venditori stavano esponendo, sistemando e rinfrescando.
Tra un banchetto e l'altro, sempre guardando dove mettevo i piedi, finii davanti all'ingresso posteriore dell'edificio. Mi accorsi che alcuni uomini si stavano sonoramente agitando e, facendo spazio davanti a loro, trasportavano un pesce enorme da un furgone mal adibito allo scopo, al pavimento davanti a me, sporco ma vuoto.
Rimasi allibita: ecco perché tanto sangue in giro. La pulizia di un esemplare del genere, pesante quanto un vitello,
poteva considerarsi una vera e propria macellazione.
“King Fish, King Fish!”, mi disse uno dei venditori, come a voler rispondere alla domanda che il mio stupore sembrava avergli posto.
Mi feci prendere dal fotografare la situazione, altri pesci enormi venivano a fatica sistemati in coda al primo, alcuni
ancora con grandi ami infilzati in bocca. Man mano che venivano ridotti in filetti, puliti, tagliati e spellati, qualcuno provvedeva ad esporli sul bancone per la vendita. A giudicare dal colore dei tranci e dai segni di un rostro mozzato, nonostante la mia scarsa competenza in merito, riconobbi dovesse trattarsi di pesce spada.
“No, photo no!!”, mi urlò alle spalle un tipo alto e grosso, con il turbante ma, a differenza degli altri, vestito
all'occidentale. Sussultai.
Dall'espressione del suo volto capii che faceva sul serio e sperai non volesse sequestrarmi la macchina fotografica per cancellarne le immagini.
Con un sorriso timoroso e un cenno di scuse, la rimisi nella sua custodia e continuai a guardare la stessa scena con i miei occhi, come a dimostrare che il mio interesse era ingenuo, personale, e non finalizzato ad un qualche articolo di giornale... Avevo intuito dovesse trattarsi del boss del mercato e non solo per il bel cellulare che teneva visibilmente a portata di mano.
Prima che lui si allontanasse, tornai al parcheggio e raggiunsi la mia auto. La aprii (come si apre un forno per controllare se la pizza è cotta) e vi posai la macchina fotografica, pensando che con buone probabilità di lì a poco si sarebbe sciolta. Sentendomi ancora osservata, rientrai nell'edificio per proseguire il mio giro e vedere la fine delle operazioni.
Il boss se n'era andato, forse momentaneamente, e i vari pescivendoli, che in silenzio avevano assistito alla scena
precedente, mi sembravano ora più rilassati. Qualcuno mi fece segno che potevo avvicinarmi a fotografarli, che non era per loro un problema, e anzi, mi esortarono a farlo.
Avevo comunque il telefonino, in effetti... Così, girai tra i banchetti nel piano rialzato dell'edificio, osservando i diversi tipi di pesce e cercando di comunicare con chi me li stava orgogliosamente mostrando.
Mi imbattei in una cassa di mini squalo. Proprio come quelli veri, che si vedono nei film, ma in miniatura. Oddio! Sussultai di nuovo, questa volta solo nella mia testa. “Spero non siano degli squaletti cucciolo, ma una specie non protetta della stessa famiglia”, pensai...
“Baby Shark, Baby Shark!”, mi disse tutto soddisfatto il ragazzo che li esponeva, fugando ogni mio dubbio.
Accennai un mezzo sorriso incriminatorio, per celare la stretta che avevo nello stomaco. Ecco perché qualcuno di più consapevole di loro non voleva vedere macchine fotografiche in giro... Qualcosa da nascondere ai più, in questa situazione, forse c'era.
Me ne andai riflettendo.

Si stava anche facendo tardi ed era ora di tornare alla ragione principale del mio girovagare: le punte di trapano.
Me le ero completamente dimenticate. I miei compagni di viaggio stavano aprendo una via su di una parete a un centinaio di km da lì, ed avevano consumato del tutto le punte necessarie a piantare gli spit nella roccia, indispensabili per poter proseguire fino alla cima.
Era passata già mezza giornata e non avevo ancora nemmeno capito come si dicesse ferramenta in arabo, ammesso e
non concesso che fosse a quel genere di negozio che qui avrei dovuto rivolgermi.
La macchina fotografica non si era ancora sciolta, ma le temperature erano alte e l'aria condizionata dell'auto non sembrava funzionare. Il paesaggio, attraversando quella grande steppa tra il deserto arabico e la catena montuosa dell'Hajar, era scarno e polveroso, costituito da enormi distese aride dalle quali si profilavano solo vecchi ruderi e spinosi cespugli.
Guidando in quel calore e ripensando alla mattinata, mi venne in mente il mercato del pesce di Seeb, dal quale ero
passata qualche giorno prima, alla ricerca di un po' d'ombra percorrendo un cocente e trafficato lungo mare.
Era molto più grande e vivace, decisamente diverso da quello di Ibri. Nessun pesce enorme, nessuno squalo piccolo... Sembrava molto frequentato, grazie anche alla sua posizione: sulla costa, proprio a nord di Mascate, in una zona di transito tra la capitale e il resto del paese.
Fu un giovane pescivendolo, magrolino e dallo sguardo sveglio, a farmelo notare. Parlava un po' di inglese e mi chiese espressamente se poteva approfittare della mia presenza per farmi qualche domanda.
Appresa la mia nazionalità, mi disse che erano tanti gli italiani che passavano da quelle parti:
- “Ieri addirittura si è fermato qui un pullman intero! E sono scesi tutti, si guardavano attorno, facevano un sacco di foto... ma non hanno chiesto niente e non hanno comprato niente di niente! Ma come mai?”, mi chiese, tra il sorpreso e lo scocciato.
Improvvisai una spiegazione potenzialmente convincente.
- “Eh sai, anche noi in Italia abbiamo il mare, e tanto... tutto intorno... e abbiamo un sacco di pesci nel nostro mare. Ma sono diversi dai vostri, generalmente anche più piccoli. Per noi è molto interessante guardare le vostre specie e confrontarle... però non li possiamo comprare, perché siamo qui in vacanza, stiamo in Hotel e mangiamo nei ristoranti, non abbiamo a disposizione la cucina per prepararci da mangiare, dato che siamo di passaggio. Per questo purtroppo non possiamo comprarli, non riusciremmo neanche a conservarli...”.
- “Ah, ecco. E poi, un'altra cosa... tutti mi dicono: Oman first time! Però qualche straniero che lavora a Mascate c'è... Ma perché con il visto turistico non vi potete fermare? O non potete poi ritornare?”
- “Il visto turistico viene concesso per un mese di fila al massimo, non di più... E va richiesto ogni volta che si vuole entrare nel paese... I turisti di solito vengono una sola volta a visitare l'Oman, poi fanno un altro viaggio, da qualche altra parte. Vogliono conoscere luoghi diversi, difficilmente tornano nello stesso Paese, a meno che, appunto, non ci vadano per lavoro, con un visto specifico, che dura più tempo ed è più difficile da ottenere”.
- “Ah, ok... ho capito. Grazie! Molto piacere!” e, con un bel sorriso, mi strinse la mano.
Mi chiesi questi ragazzi che pessima immagine si facessero di noi, turisti europei che, spesso nascosti dietro a macchine fotografiche d'avanguardia, ci muoviamo in banchi, silenziosi e, proprio come dei pesci, sembriamo incapaci di comunicare se non all'interno della nostra specie.

Intanto, nelle prime ore di quel caldo pomeriggio, di auto in giro in una delle principali strade dell'Oman ce n'erano pochissime e di potenziali negozi per le punte di trapano, fino a quel momento, neanche l'ombra. In lontananza però, scorsi le insegne di un centro commerciale, di quelli in pieno stile occidentale. Non era grande ma era tutto nuovo, fresco e pulito.
Puntai ai bagni, le immagini per distinguere quello degli uomini da quello delle donne differivano di poco (in entrambi i
casi i simboli avevano una lunga tunica) ma apprezzai che in tutti e due ci fosse la disponibilità di un fasciatoio, cosa che da noi si vedeva di rado.
Entrai decisa in quello giusto. Una ragazza, vestita in una lunga tunica nera esattamente come l'icona del bagno di cui avevo varcato la soglia, cacciò un urlo improvviso.
Sussultammo in due, stavolta.
Si stava sistemando il trucco sugli occhi, che assieme al resto del viso e alle mani erano l'unica parte visibile del suo corpo, e al vedermi entrare si era spaventata, probabilmente pensando fossi un uomo.
Quando si accorse dell'equivoco, insieme alle sue amiche, si mise sonoramente a ridere e mi chiese scusa.
Sapevo che una sciarpina sulla testa, associata ad un look piuttosto occidentale (nonostante i pantaloni larghi e la camicetta a maniche lunghe) non fosse per niente convincente, considerata anche la mia statura... ma quella tutta nera,

per di più riflessa in uno specchio, era lei... avrei avuto il pieno diritto di spaventarmi io per prima, questa volta! Risi con loro.
Per non destare ulteriori sospetti, evitai di chiedere loro informazioni in merito alla reperibilità delle punte di trapano
all'interno del centro commerciale, rivolgendomi piuttosto ad un signore di passaggio, fortunatamente un po' ferrato anche con la lingua inglese.
“Building Materials Shop” sembrava essere la soluzione al mio problema e, a quel punto, potei finalmente contare su
Google Maps, che mi rivelò dove trovare il più vicino.
Come per i banchi di un mercato, anche i negozi sembravano qui raggrupparsi a seconda del tipo di merce proposta, ed in una zona periferica di Nizwa, nell'ambito dei materiali per la costruzione e l'edilizia, le opzioni erano più di una.
I commercianti di due negozi vicini si confrontarono e, guardando dal mio cellulare la foto di ciò che stavo cercando, mi aiutarono a trovarlo: ne comprai una a ciascuno.
Raggiunsi gli altri nel nostro accampamento alle pendici della parete sulla quale stavano aprendo la via. Si era ormai fatta sera e, sfoggiando le due punte di trapano come fossero il Sacro Graal, mangiai con loro una pasta al tonno, in scatola e di dubbia provenienza.